Nel panorama del repertorio organistico Joseph Bonnet è
ricordato quasi esclusivamenteper Variations de concert (
Breve commento ad alcune composizioni
di Joseph Bonnet
Spesso le opere di Joseph Bonnet sono
caratterizzate dalla volontà di mettere in luce le sue doti di
grande virtuoso dello strumento: è così evidentemente anche per
Variations de concert op. 1, autentico brano "da
concorso", suo esordio come compositore. A una solenne
introduzione - si direbbe in stile "fantastico" - dopo
la quale viene esposto il nobile tema nella semplicità di una
sobria e raffinata armonizzazione, seguono quindi le quattro
variazioni. Nella prima al tema, esposto sulla Voce celeste, fa
da contrasto il cristallino pizzicato del pedale, nella seconda
il cantus firmus del pedale è accompagnato da un ricco
contrappunto in terzine, nella terza invece il tema è trattato
nello stile di un corale col canto in tenore. L'ultima
variazione, la più estesa e complessa, dapprima espone il tema
con imponenti accordi sostenuti da un fluido disegno di doppio
pedale, poi al pedale solo è affidata una virtuosistica cadenza
degna della miglior tradizione, che torna infine a coinvolgere
anche la tastiera con una brillante toccata conclusiva.
L'intento descrittivo appare evidente nei Poèmes
d'automne op. 3.
Il primo brano della raccolta, Lied
des chrysantèmes, è un delicato quadretto novembrino che
si colora delle sonorità più dolci dello strumento.
Matin provençal, secondo una
testimonianza di Bérenger de Miramon Fitz-James (L'Orgue,
avril-juin 1947), sarebbe stato scritto nel 1908 a Marsiglia,
alla vigilia di un concerto nel quale poi lo eseguì come fuori
programma: l'impressione dello spettacolo e del tumulto del
grande porto meridionale gli ispirò questo ampio ed articolato
brano descrittivo, dove dalle prime luci dell'alba si giunge -
attraverso un inesorabile crescendo - ad un caldo ed sfolgorante
mezzogiorno. Va comunque rilevata una piccola incongruenza:
un'annotazione della mano di Joseph Bonnet sul manoscritto che
poi è servito per la stampa attesta che il brano fu composto sì
a Marsiglia, ma nel 1907.
Una raccolta meditazione vespertina è
invece Poème du soir (dedicato a Charles Tournemire,
successore di César Franck all'organo di S.te Clotilde),
composto su una melodia dal vago sapore modale. Alla dedica
esplicita Bonnet ne aggiunge una più raffinata e nascosta,
indicando espressamente una registrazione molto particolare, che
Tournemire prediligeva ed era solito usare nelle sue
composizioni.
Lo spiritoso Intermezzo op. 5 n.
7, in forma tripartita, presenta interessanti analogie con
l'omonimo brano di Louis Vierne (composto però sicuramente
diversi anni più tardi), di cui condivide il carattere, la
struttura, l'impiego del cromatismo e in certa misura anche la
scelta delle registrazioni.
Con Légende symphonique in fa
minore op. 5 n. 10 siamo di fronte ad uno dei brani più
articolati e complessi della produzione di Bonnet. Dopo una lenta
e quasi misteriosa introduzione in cui il primo tema compare al
pedale in forma di recitativo, viene presentato il secondo tema,
al relativo maggiore, quasi subito contrappuntato da un ricamo di
note più mosse. È proprio questa linea, ora affidata al pedale,
a dare inizio allo sviluppo, che tratta in forma di fugato il
primo tema, più volte interrotto da brevi ricomparse del
secondo, per culminare in un crescendo fino al Grand Choeur,
sottolineato da un progressivo accelerando e dall'utilizzo di
valori più brevi, concluso da una sorta di toccata in cui il
primo tema è proposto al pedale come cantus firmus e il secondo
trattato in maniera accordale chiude questa sezione conducendo
sulla dominante. La ripresa ricalca ovviamente la struttura
dell'esposizione, passando però già dal secondo tema alla
tonalità di fa maggiore, nella quale prosegue la serena coda
composta sul motivo ornamentale più volte impiegato nel corso
del brano.
È ancora lo stile sinfonico a
caratterizzare Deuxième légende op. 7 n. 10, forse
meno estesa ed elaborata di Légende symphonique (op. 5 n. 10),
ma almeno altrettanto intensa. Strutturata su una forma analoga
(simile alla forma-sonata), il brano si apre con la ricca e
rotonda sonorità dei registri di 8 piedi, e nelle sue linee
sembra quasi evocare Prière di César Franck. Pur non
presentando un autentico secondo tema, è proprio il suo embrione
a dare avvio allo sviluppo, anche in questo caso sottolineato da
progressivi crescendo ed accelerando, fino al Grand Choeur, che
raggiunge nella ripresa, in cui l'accompagnamento del primo tema
da accordale diventa un brillante susseguirsi di arpeggi. Un
passaggio virtuosistico al pedale e una serie di solenni accordi,
in un progressivo rallentando segnano la fine del brano, stavolta
senza abbandonare la massima sonorità già raggiunta.
Il naufragio nel transatlantico Titanic
suggerì a Joseph Bonnet la composizione di In Memoriam
op. 10 n. 1, dedicato "To the memory of the TITANIC'S
heroes". Questa ampia fantasia su melodia preesistente (il
manoscritto reca l'indicazione "based upon "Nearer my
God to Thee"") lascia aperto qualche interrogativo
sulla provenienza del corale. Esiste - è vero - un cantico con
questo titolo nel repertorio della chiesa evangelica anglofona,
ma del tutto diverso da quello utilizzato da Bonnet; d'altra
parte il fatto che il compositore stesso ne attesti l'esistenza
farebbe cadere l'ipotesi che possa trattarsi di una melodia da
lui composta per l'occasione. Pur non potendo trovare risposta a
tale quesito, In Memoriam colpisce, più che per la ricchezza del
materiale tematico e per l'arditezza del linguaggio armonico, per
la varietà e la drammaticità delle immagini evocate. La
misteriosa introduzione su un lungo pedale a cui si sovrappongono
successivamente intervalli di quinta e di ottava, sembra quasi
ispirarsi al suono della lontana sirena di una nave. Segue un
episodio contrappuntistico sulle prime note del tema, che sarà
ben presto presentato nella ieratica semplicità di un corale
armonizzato. Ha quindi inizio la fantasia, in cui l'autore passa
dalla melodia accompagnata al desolato recitativo, dal cantus
firmus al pedale alla peroratio accordale sul Grand Choeur, dalla
dolorosa riesposizione del tema - ora trasfigurato da armonie
dissonanti - alle cupe e gravi sonorità conclusive.
Fu con tutta probabilità il personaggio
di The Tempest di W. Shakespeare a ispirare Ariel op. 10
n. 2. Come lo spirito dell'aria al servizio di Prospero guizza
più veloce del fulmine, divampa, incendia ed atterrisce i
passeggeri della nave del re di Napoli, così il brillante
registro di flauto si impegna in scale, arpeggi, progressioni e
passaggi virtuosistici, per scomparire poi all'improvviso dalla
scena con agili salti di accordi staccati.
Sebbene pubblicato soltanto nel 1925, Chant
triste è stato composto - come risulta da una annotazione
autografa sul manoscritto - nel 1914. La nobile melodia, affidata
ad un registro ad ancia, si dipana attraverso fluide terzine,
appena interrotta da un piccolo episodio interludiante, poi
ripreso anche subito prima della conclusione. L'armonia, pur
rimanendo abbastanza semplice, impiega a tratti interessanti
cromatismi e procedimenti enarmonici.
Copyright © Vincenzo Ninci 1999
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